Domenica 20 settembre 2009 alle ore 18.30 a Studio7 Spazio Arte, in via Pennina 19, a Rieti, inaugurazione della mostra personale di Sergio Silvi, ‘Erro’.
‘Lascio tracce,- dice Silvi a proposito dei suoi lavori - dunque esisto. Le impronte dei pneumatici sulla terra a segnare il viaggio. Le persone conosciute. Amate. Mai amate. Tracce di quello che sono. Delle strada che ho scelto. Della strada che ho sbagliato. Di quella che corre lungo un burrone. Di quella che posso fare solo marcia indietro.
Di quella in mezzo ad un bosco. Di quella che corro come un pazzo. Di quella che non riesco a perdermi. Di quella che non finisce mai e invece un giorno finisce. Di quella che canto una canzoncina stupida che non so perché mi viene in mente. Di quella che faccio con il cuore in gola. Di quella che poi dico “come ci sono finito?” Di quella che quando arrivo penso “è poi tutto qui?” Di quella che un giorno decido. E cambio. Giro così: la prima a destra o a sinistra che tanto è
uguale.
E le impronte dei pneumatici lì. Non mi dicono la direzione: segnano il percorso. Memoria di dove sono stato e dove tornare quando mi perdo.
Indizi per farmi trovare quando decido di scappare… che basta: da oggi mi nascondo! Andare. Tornare. Ripartire. E la pasta vischiosa del vinavil, morbida durante il viaggio, si indurisce nel tempo. Come certi ricordi che si incollano sull’anima e si incrostano addosso. Rughe dell’anima a dire che non sono più gli lo stesso.’
‘Lascio tracce,- dice Silvi a proposito dei suoi lavori - dunque esisto. Le impronte dei pneumatici sulla terra a segnare il viaggio. Le persone conosciute. Amate. Mai amate. Tracce di quello che sono. Delle strada che ho scelto. Della strada che ho sbagliato. Di quella che corre lungo un burrone. Di quella che posso fare solo marcia indietro.
Di quella in mezzo ad un bosco. Di quella che corro come un pazzo. Di quella che non riesco a perdermi. Di quella che non finisce mai e invece un giorno finisce. Di quella che canto una canzoncina stupida che non so perché mi viene in mente. Di quella che faccio con il cuore in gola. Di quella che poi dico “come ci sono finito?” Di quella che quando arrivo penso “è poi tutto qui?” Di quella che un giorno decido. E cambio. Giro così: la prima a destra o a sinistra che tanto è
uguale.
E le impronte dei pneumatici lì. Non mi dicono la direzione: segnano il percorso. Memoria di dove sono stato e dove tornare quando mi perdo.
Indizi per farmi trovare quando decido di scappare… che basta: da oggi mi nascondo! Andare. Tornare. Ripartire. E la pasta vischiosa del vinavil, morbida durante il viaggio, si indurisce nel tempo. Come certi ricordi che si incollano sull’anima e si incrostano addosso. Rughe dell’anima a dire che non sono più gli lo stesso.’
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