La Galleria O. presenta una mostra dal titolo complesso e volutamente ambiguo- “Interno italiano”- che diventa più comprensibile alla luce di alcune considerazioni che fondano la ricerca della galleria stessa sul design italiano del Novecento e sulla contemporaneità.
Prima di tutto, esiste una linea di elaborazione di eccellenza assoluta rappresentata, tra le due guerre, soprattutto da Fontana Arte e da Gio Ponti: si tratta di una linea culturale che si potrebbe definire “italiana” poiché da un lato trova un tratto specifico nelle tradizionali capacità artigianali, in cui diverse regioni di questo Paese eccellono; dall’altro perché, nella qualità del design, si vuole mantenere per molti versi lontana dall’ ideologia del bianco, dello spoglio minimalismo “ospedaliero” che il Movimento Moderno elabora in Europa in quegli stessi anni.
Questa dimensione italiana del design nel secondo dopoguerra è ben rappresentata, nella sua capacità di muoversi tra industria e creatività mediterranea, dalla mostra newyorkese “ The New Domestic Landscape” (MoMA, 1972); e sarà ancora l’Italia, con il Design Radicale e soprattutto con Ettore Sottsass, a spostare il design dal piano della razi onalità industriale a quello di una più raffinata ricerca di messaggi poetici, sempre intrecciata alle capacità delle piccole aziende produttrici italiane.
Come a voler riprendere questa storia, la galleria presenta due progetti contemporanei: un tavolo di Massimo d’Alessandro e tre gioielli di Giuseppe Gallo, assieme a due pezzi storici: una poltrona inedita di Ponti del 1948, e uno stupefacente lampadario del 1956, firmato da Max Ingrand, allora Direttore di Fontana Arte.
Indirettamente quindi l’operazione culturale sottesa vuole associare alcune idee: la distanza dall’avanguardismo spettacolare di mol to design contemporaneo, un quasi concettuale ritorno alla raffinatezza delle elaborazioni artigianali nel prodotto artistico, una qualità del design che, seppure contemporanea, trova una capacità di dialogo con il design storico, una dimensione calda degli spazi fortemente legata ad alcune radici storiche di questo Paese.
Prima di tutto, esiste una linea di elaborazione di eccellenza assoluta rappresentata, tra le due guerre, soprattutto da Fontana Arte e da Gio Ponti: si tratta di una linea culturale che si potrebbe definire “italiana” poiché da un lato trova un tratto specifico nelle tradizionali capacità artigianali, in cui diverse regioni di questo Paese eccellono; dall’altro perché, nella qualità del design, si vuole mantenere per molti versi lontana dall’ ideologia del bianco, dello spoglio minimalismo “ospedaliero” che il Movimento Moderno elabora in Europa in quegli stessi anni.
Questa dimensione italiana del design nel secondo dopoguerra è ben rappresentata, nella sua capacità di muoversi tra industria e creatività mediterranea, dalla mostra newyorkese “ The New Domestic Landscape” (MoMA, 1972); e sarà ancora l’Italia, con il Design Radicale e soprattutto con Ettore Sottsass, a spostare il design dal piano della razi onalità industriale a quello di una più raffinata ricerca di messaggi poetici, sempre intrecciata alle capacità delle piccole aziende produttrici italiane.
Come a voler riprendere questa storia, la galleria presenta due progetti contemporanei: un tavolo di Massimo d’Alessandro e tre gioielli di Giuseppe Gallo, assieme a due pezzi storici: una poltrona inedita di Ponti del 1948, e uno stupefacente lampadario del 1956, firmato da Max Ingrand, allora Direttore di Fontana Arte.
Indirettamente quindi l’operazione culturale sottesa vuole associare alcune idee: la distanza dall’avanguardismo spettacolare di mol to design contemporaneo, un quasi concettuale ritorno alla raffinatezza delle elaborazioni artigianali nel prodotto artistico, una qualità del design che, seppure contemporanea, trova una capacità di dialogo con il design storico, una dimensione calda degli spazi fortemente legata ad alcune radici storiche di questo Paese.
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